Per circa 3-4 anni e sino a qualche giorno fa, ci hanno detto che la Grecia (la quale non è assolutamente esente da colpe nelle sue articolazioni politiche e nelle sue devianze socio-culturali in questo perenne naufragio) era da considerare “salva” grazie all'intervento della Troika ed alle sue scelte di politica economia, fiscale ed occupazionale. Oggi, invece, scopriamo che deve essere salvata di nuovo, il che significa che la Troika -in questi anni- non ha risolto un amaro nulla e che quindi ci ritroviamo, con l'aggravante del tempo trascorso, traducibile in migliaia di esistenze poste sul lastrico ovvero condannate ad una vita da morti di fame, al punto di partenza.
Questo è un grafico tratto dal sito di Paolo Cardenà, www.vincitorievinti.com, che vale più di mille parole.
Qual è stata la ricetta prescritta da FMI -BCE- COMMISSIONE al fine di risolvere la crisi del debito sovrano ellenico?
- Rimodulazione della politica fiscale, quale strumento di riduzione del deficit di bilancio e del valore assoluto del debito pubblico, da attuare tramite aumento della pressione fiscale, riduzione del livello dei servizi pubblici, tagli alla spesa, aumento delle tariffe, privatizzazioni.
- Riforma dei sistemi pensionistici, ovvero decurtazione delle pensioni.
- Riforma del mercato del lavoro, ovvero riduzione dei livelli salariali del settore pubblico, modifica degli incentivi e della contrattazione nel settore privato (nel quale si è passati da una contrattazione nazionale ad una locale), introduzioni di forti meccanismi di flessibilità in entrata (contratti da morti di fame) ed in uscita (possibilità di minacciare licenziamenti senza giusta causa, in cambio dell'accettazione di condizioni lavorative deteriori).
Dopo un po', la Troika si è accorta che la solita minestrina non bastava più, cosicché nel 2011, convoca i creditori della Grecia e dice loro: nonostante le riforme di cui sopra, il debito greco non riusciamo a ridurlo (rispetto al Pil); se non si riduce, permarrà un giudizio di insostenibilità (futuro default) e nessuno di noi tre mollerà un euro -per effetto delle politiche di condizionalità- ai signori ellenici; tuttavia, a perdere tutto il cucuzzaro a causa di un altamente probabile fallimento disordinato, sarete anche voi care banche: che facciamo? Ristrutturiamo? E ristrutturazione, cioè haircut sul debito, fu.
Le politiche di condizionalità (che ricordiamo essere i performance criteria, nonché i relativi structural benchmarks di finanza pubblica al cui raggiungimento è subordinata l'erogazione delle famose tranches dei finanziamenti internazionali) sintetizzate nei tre punti di cui sopra, sono a tutta evidenza politica di austerità, che affondano le proprie radici nel lontano 1989, quando venne coniata l'espressione “Washington Consensus” rappresentante un mix di politiche economiche e sociali proposte da FMI, Banca Mondiale, Tesoro e Congresso USA, agli Stati dell'America Latina richiedenti aiuto al fine di superare le crisi del debito estero degli anni '80 ed alla cui accettazione era subordinata l'erogazione di prestiti internazionali. In cosa consistevano dette politiche? In interventi volti a correggere il deficit, a ridurre la spesa pubblica, a deregolamentare i mercati finanziari, a promuovere il libero scambio, a privatizzare le società pubbliche, a superare i limiti esistenti ai movimenti di capitale. Queste linee guida erano considerate un vero e proprio dogmatanto da essere applicate nella loro interezza e rigidità a tutti gli stati che presentavano sì deficit commerciali e debiti pubblici rispetto ai Pil abbastanza elevati, ma con criticità -vale a dire cause- strutturali molto diverse. Insomma, si decise di adottare il modus operandi che i colti definiscono “one-fits for all approach”, ma che ad esempio a Roma sarebbe traducibile in “stecca para pe tutti, regà”.
Nel 2012 (dopo 23 anni di politiche Washington Consensus Style) il FMI nel suo World Economic Outlook, dichiara: signore e signori, ci siamo sbagliati. Le politiche da noi proposte per risolvere i vostri guai, non funzionano; abbiamo dimenticato di considerare a pieno il ruolo del cosiddetto moltiplicatore fiscale. Abbiamo dimenticato di considerare che, nelle applicazione delle politiche di austerità ipoteticamente volte a migliorare il rapporto debito pubblico/pil, il denominatore subisce un contrazione maggiore del numeratore, quindi la cura da noi proposta aggrava il vostro male.
Ed ora che succede? La situazione della Grecia è abbastanza complessa, non per le dimensioni assolute del suo debito o del peso della sua economia nell'Eurozona, ma perché sembra che tutte le forze politiche che concorreranno per le prossime politiche, siano -più o meno esplicitamente- orientate a chiedere, in caso di vittoria, una ristrutturazione (e sarebbe la seconda in 3 anni) del debito. Da qui è possibile -a mio modestissimo avviso- elaborare tre osservazioni:
- Innanzitutto bisogna distinguere tra creditori sovrani (Stati ed altre organizzazioni internazionali) e creditori privati (cittadini, banche, fondi d'investimento ecc). Per i primi, in genere, la Troika non vuol sentir parlare di ristrutturazione; per i crediti vantati dai secondi è disponibile a parlarne solo previo raggiungimento di un accordo tra lo Stato interessato e ciascuno di essi, eventualmente riuniti in un comitato di rappresentanza, presso il quale il debitore dovrebbe recarsi col cappello in mano indicando le ragioni della ristrutturazione, i relativi termini quantitativi e le misure di aggiustamento futuro dei propri conti che andrà ad adottare. Come potrà dunque evolvere la crisi dopo le elezioni? La Troika valuterà per prima cosa la sostenibilità del debito greco, condizione primaria (ribadita anche negli atti istitutivi del Meccanismo Europeo di Stabilità) per la concessione di “aiuti”: a ben vedere, si tratta di una mera pagliacciata formale, essendo il debito pubblico ellenico -allo stato attuale- non sostenibile (altrimenti perché chiedere aiuto alla Troika?). Come si stabilisce la sostenibilità o meno del debito? Sulla base di proiezioni incentrate sulla crescita del Pil; se si prevede che questo non cresca o non cresca abbastanza, comincia a valutarsi la possibilità di accordare una riduzione dei pagamenti in conto capitale e/o in conto interessi verso i creditori stranieri . Chi decide se accordarla ed in quale misura? Per i creditori sovrani il Club di Parigi, un forum che riunisce alcuni degli Stati OCSE, che stabiliscono tra loro e con il debitore se praticare qualche sconto e/o dilazione. Raggiunto e formalizzato l'accordo negli agreed minutes, si richiede, però, che anche con gli altri creditori estranei al club, lo Stato in difficoltà raggiunga un'intesa per ridurre il proprio debito, in misura pari. Dove sta il problema? Che le agreed minutes non sono vincolanti né per i creditori sovrani, né per quelli privati che non abbiano partecipato alle riunioni del forum parigino; situazione questa che impedisce al Fondo di elaborare previsioni -anche di massima- e formulare politiche di condizionalità, con conseguente incapacità di prevedere l'evoluzione futura della crisi ellenica e l'incertezza in economia, si sa, spesso costa più di una scelta sbagliata.
- Ci sono creditori di serie A e creditori di serie B. I creditori privilegiati sono le organizzazioni finanziarie internazionali, come FMI, MES, BCE. Cosa significa essere creditori privilegiati? Che i pagamenti loro dovuti non sono subordinati al preventivo soddisfacimento delle pretese creditorie vantate da soggetti terzi (Stati, Banche, Fondi Comuni, privati cittadini) verso lo stato in questione; in particolar modo, per quanto riguarda la BCE e le banche centrali nazionali, non sono state toccate dalla ristrutturazione del debito greco del 2012. La stessa Banca Centrale Europea nel 2010, aveva predisposto il Securities Markets Programme, tramite il quale ha acquistato sul mercato secondario (dalle banche) sino a Febbraio 2012, titoli greci per un valore complessivo di 33,9 miliardi di euro, per l'appunto non toccati dalla ristrutturazione del debito. All'epoca, l'acquisto di questi assets detenuti dagli istituti di credito, seppur condotto al prezzo di mercato e non al valore nominale, ha consentito loro di ripulire i bilanci, riducendo l'esposizione verso l'emittente sovrano a rischio default (infatti quella di oggi è molto minore di quella di ieri).
- Chi resterà col cerino in mano questa volta? Partiamo da una premessa dal mero carattere informativo: come noi tutti sappiamo, la ristrutturazione del debito (subordinato alla legge greca) può avvenire in presenza del consenso di una certa maggioranza di creditori (che sono i principali gruppi bancari); in caso di ok, anche i creditori dissenzienti resterebbero obbligati dai termini dell'accordo maggioritario, questo per effetto delle CAC (Collactive Action Clauses). Fatta questa premessa, quali sono le opzioni sulle quali -astrattamente- ho pensato di ragionare?
- La BCE compra direttamente i titoli di nuova emissione (sostituendosi direttamente al MES anche nelle condizioni da dettare al debitore) ed in cambio fornisce gli euro necessari a rimborsare quelli in scadenza (oltre a quelli destinanti alle spese in conto capitale e/o correnti dello stato) evitando qualsiasi ristrutturazione o rischio default. Ipotesi giuridicamente e politicamente altamente improbabile, non perché non convenga alle banche francesi e tedesche (che sono quelle maggiormente coinvolte anche se meno del passato e limitatamente al settore privato; tuttavia appare ovvio che se lo stato dovesse fallire, qualche privato ci lascia le penne senza poter rimborsare i creditori stranieri) ma perché un intervento del genere significherebbe una rivoluzione totale in uno dei fondamenti giuspolitici dell'intera Unione Europea (questo sì non converrebbe alla Germania). E soprattutto: quanti altri stati minaccerebbero la ristrutturazione, potendo contare sul paracadute della BCE? C'è la variante della BCE che garantisce alle banche il riacquisto dei titoli greci, ma questa manovra ove fosse realizzata senza concordare l'attuazione di politiche di condizionalità con la Grecia, reggerà al combinato disposto degli articoli 125 (no bail-out clause) e 136 del TFUE? Ne dubito. E se, viceversa, l'adozione di politiche di condizionalità venisse richiesta, in cosa potrebbero consistere se non nelle solite alchimie di austerità? E quale concreto contributo darebbero all'economia greca sul medio-lungo termine? Nessuno ed infatti la Grecia si ritroverebbe tra qualche anno al punto di partenza, cioè in bancarotta.
- La Grecia ricorre al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità). Il Mes ha un capitale autorizzato pari a 700 miliardi di euro (di cui solo 80 effettivamente versati), con un volume di capacità massima iniziale di finanziamento erogabile fissato a 500 miliardi. Nel caso di un impiego massiccio di risorse al fine evitare il default ellenico, sarebbe necessario aumentare la dotazione dell'istituzione finanziaria lussemburghese. In che modo? Le vie percorribili sono due, tutte ovviamente a carico delle finanze degli stati sottoscrittori (quindi dei contribuenti), alcune delle quali -come quelle italiane- particolarmente traballanti: a) raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari (titoli di debito); b) conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi. Quindi il MES può emettere obbligazioni, a garanzia delle quali viene chiesto agli stati di versare -entro un certo periodo di tempo- in tutto o in parte le quote di capitale sottoscritte e non versate (altrimenti al MES chi presterebbe denaro?); e gli stati dove troverebbero -in qualche settimana- le risorse da versare? Emettendo titoli di debito. Ecco, immaginiamoci l'Italia costretta ad aumentare ancora di qualche decina di miliardi il debito per finanziarie l'acquisto di titoli del debito pubblico -sul primario e/o sul secondario- greco, un'operazione che sarebbe un successone di finanza pubblica, no? Se, invece, il MES decidesse di non emettere titoli di debito, potrebbe richiamare direttamente le quote sottoscritte e non versate. Anche in questo caso, gli stati dovrebbero aumentare il proprio debito, per reperire le risorse da versare al Mes e che questo girerebbe alla Grecia. C'è anche una terza opzione, rappresentata da una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di garanzie degli Stati membri della zona euro. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che gli stati guadagnerebbero pro quota gli interessi maturati, distribuiti ove l’ammontare del capitale versato e del fondo di riserva superino il livello determinato per garantire la capacità di erogazione dei prestiti del MES e allorquando i profitti dell’investimento non siano necessari per sopperire alla carenza di fondi per rimborsare i creditori. Infatti, in via primaria i ricavi netti generati dalle operazioni del MES ed i proventi rivenienti dalle sanzioni finanziarie irrogate ai membri del MES nell’ambito della procedura di sorveglianza multilaterale, della procedura per i disavanzi eccessivi e della procedura per gli squilibri macroeconomici istituite dal TFUE sono accantonati in un fondo di riserva. Tuttavia – a mio modestissimo parere- c'è un'alta probabilità che le cose non vadano così e ce lo insegna l'esperienza recente. Cosa voglio dire? Intendo dire quanto segue: per poter accedere all'assistenza finanziaria del MES, uno stato -in questo caso la Grecia- (oltre ad avere già ratificato il Fiscal Compact) dovrebbe necessariamente ed inderogabilmente (a meno di poco probabili modifiche dei trattati) accettare rigorose condizioni economiche dirette a garantire il perseguimento di una politica di bilancio virtuosa. Come? Con l'applicazione di quelle stesse misure di austerità, quindi recessive (già applicate alla Grecia) e che proprio in questi giorni si stanno dimostrando per quello che sono: FALLIMENTARI! Quindi, questa condizionalità richiesta dal MES e dall'articolo 136 del TFUE, rischia paradossalmente di produrre situazioni finanziarie opposte a quelle richieste dall'art. 125 del TFUE, il quale recita: «l 'Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico. Gli Stati membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell'amministrazione statale, degli enti regionali, locali o degli altri enti pubblici, di altri organismi di diritto pubblico o di imprese pubbliche di un altro Stato membro, fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto specifico». In che modo? Poiché il salvataggio del MES è subordinato all'accettazione delle stesse (se non più stringenti) condizioni che hanno riportato -dopo 3 anni circa- la Grecia al punto di partenza, è verosimile che tra 3-4 anni la Grecia richieda di ristrutturare nuovamente il debito o vada verso il default, con perdite in conto capitale -pro quota- per i membri del Mes. E chi è il terzo sottoscrittore del Mes, quindi lo stato che subirebbe il terzo livello di perdite più alto? L'Italia. A parte le dilazioni temporali potenzialmente praticabili, c'è una questione di pura logica: se gran parte del debito pubblico greco è detenuto dall' EFSF oggi MES, potrebbe il MES intervenire prestando soldi, quando l'eventuale default o ripudio del debito, riguarderebbe proprio i titoli che ha in portafoglio? Ovviamente no.
- La terza ipotesi è che nessuno salvi di nuovo la Grecia. In tal caso il default (seppur parziale) sarebbe un po' più caotico, con perdite potenziali (non si sa ad oggi quanto Atene sia effettivamente in grado di rimborsare e sopratutto quanto debito intenda ripudiare) per lo EFSF -sostituito dal MES- e quindi per gli Stati dell'eurozona che ha in portafoglio 198 miliardi di debito greco, mentre 39,6 miliardi sono di pertinenza del Fmi, 61 versati da parte degli Stati europei che hanno stipulato con la Grecia accordi bilaterali nell’ambito del programma deciso dalla Uem (Unione economica e monetaria europea), 26,4 i miliardi che la Grecia deve alla BCE. I titoli del debito pubblico emessi dopo la la crisi precedente, sono pari ad ulteriori 49,5 miliardi, per lo più sottoscritti dalle banche greche che però li girano come collaterali alla Bce a fronte della liquidità corrispondente ed infine buoni di tesoreria per 16,5 miliardi di euro. In sostanza quali stati subirebbero grosse perdite, in tale scenario, per effetto dei fondi versati nel MES (e girati alla Grecia) e per effetto di quelli prestatigli direttamente in via bilaterale? La Germania, la Francia, l'Italia. Quali sono le banche relativamente più esposte (molto meno che in passato) verso la Grecia (settore privato) i cui azionisti/obbligazionisti potrebbero subire qualche perdita? Quelle tedesche; quelle italiane lo sono per 1,5 miliardi di euro.
Quindi possiamo metterla così. O la BCE fa il QE modello prestatore di ultima istanza direttamente o tramite garanzia di riacquisto dalle banche, quindi di fatto si attua -nel primo caso- una trasformazione radicale nella politica nella governance europea (si ma in quali tempi?) laddove nella seconda ipotesi si continuerà a perpetrare la grande ipocrisia del divieto di finanziamento diretto agli stati, e salva la Grecia, oppure si va verso l'esigenza di una nuova ristrutturazione, che innescherà una nuova crisi. In questo ultimo caso, bisogna vedere innanzitutto chi mai presterà soldi al MES conoscendo al situazione debitoria degli altri partners che peggiorerà (in assenza di interventi della BCE) proprio in conseguenza dell'ipotetico default greco e sapendo che alcuni di essi, permanendo lo scenario deflazionistico/depressivo attuale si troveranno nella stessa (se non peggiore) condizione della Grecia di oggi, con conseguenti perdite in conto capitale per i membri del MES molto più rilevanti. Se invece di ricorrere all'emissione di titoli di debito il MES chiedesse agli stati di versare il dovuto, questi dovranno chiederli ai mercati ed a tal punto bisognerà vedere chi presterà soldi ad Italia, Portogallo, Spagna, Cipro, Irlanda, Slovacchia,conoscendo i rispettivi problemi di debito pubblico e sapendo che quei soldi saranno girati a paesi forse too big to fail, ma molto più problematici -per dimensioni- di Atente.
La crisi del debito pubblico è pronta a scoppiare in assenza di un poco probabile QE serio (che comunque non è la panacea di tutti i mali specie se volto a creare -anche indirettamente- inflazione solo nei prezzi degli asset finanziari ed anzi in tal caso la cura sarebbe peggiore del male) e non farlocco come la Germania vorrebbe che fosse (ovvero con tanto di condizionalità la quale sposterebbe in avanti il problema che si riproporrebbe identico a se stesso), perché la coperta finalmente si rivelerà per quello che è: corta!
Foto tratta da: gazzettino.it
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Cari amici, ecco i dati al 31/10/2014 relativi all'esposizione dell'Italia sull EFSF, sui prestiti bilaterali a paesi membri dell'Eurozona e sul MES.
- EFSF= 35, 984 miliardi di euro.
- PRESTITI BILATERALI A STATI DELL'EUROZONA= 10,008 miliardi di euro.
- MES= 14,331 miliardi di euro.
- Quota debito greco a carico dell'Italia= 33,66 miliardi.
- Quota debito greco a carico dell'Italia tramite BCE= 3,168 miliardi.
- Quota debito greco a carico dell'Italia tramite FMI= 1,28 miliardi.
Foto tratta da: gazzettino.it
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