Per la prima parte, clicca qui.
Nel contributo precedente mi son permesso di dire che l'arco temporale nel corso del quale si materializzeranno i 150.000 esuberi sarà meno esteso di 10 anni. Le probabilità che io mi sbagli sono altissime e magari di anni se ne impiegheranno 15. Tuttavia, credo che le nostre banche abbiano una certa fretta poiché colte, con le dovute eccezioni, di sorpresa dall' aggressione commerciale condotta a loro danno dai disruptors, rappresentati in gran parte da operatori -sia OTT che start-up-stranieri.
Il caso degli istituti italiani è perfettamente sovrapponibile a quelli oggetto degli studi condotti da L. Downes P. Nunes: infatti, a causa del ritardo accumulato negli anni, versano oggi nella condizione tipica dei fast followers oberati dal rischio di essere condannati all'irrilevanza sui mercati internazionali. Lato incumbents, pensare di saltare sul carro dell'innovazione trainato dai disruptors allorquando questo faccia pubblicamente già bella mostra di sé, rappresenta una strategia operativa molto rischiosa poiché significativa del fatto che i primi abbiano già eroso discrete quote di mercato dei secondi:a quel punto, il costo del rimpianto -per gli operatori maturi- soverchierà quello della mancata pianificazione e conduzione di mirate attività di ricerca.
Banche ed assicurazioni hanno storicamente goduto -ovunque- sia della protezione rappresentata dalle barriere all'ingresso di tipo regolamentare, sia della fiducia riposta da governi e consumatori nella storia dei rispettivi brands, sia della scarsa mobilità dei loro clienti. Dette protezioni non solo hanno implicitamente limitato la concorrenza tra operatori ma hanno altresì assunto per anni, cumulativamente, il ruolo di vero e proprio disincentivo all'innovazione ed alla creazione delle cosiddette“killer apps”. Così, all'indomani della crisi finanziaria e della connessa agonia reputazionale dei principali attori, i regolatori hanno attivamente sponsorizzato l'ingresso di nuovi operatori quali sorgenti di maggiori e nuove scelte commerciali per gli utenti. Utenti che hanno avuto modo di entrare in contatto con servizi assolutamente inediti,facili da settare ed in grado di offrire un esperienza molto più intuitiva rispetto a quella garantita dai tradizionali prodotti disponibilioff line (presso lo sportello).
Le banche italiane si trovano oggi a dover accettare, culturalmente ancor prima che economicamente, l'idea di dover offrire prodotti generati da modelli di business fondati sui LASIC principles (low margin; asset light; scalable; innovative; compliance easy) strutturalmente estranei al loro mondo ed invece propri di quello del FINTECH. Questo nuovo modo di fare banca e finanza già oggi esercita un'elevata pressione sui ricavi “core”degli istituti di credito per il tramite della proposta di prodotti -da parte dei neonati competitors- ad alta “data intensity” e connessi alle attività bancarie tradizionalmente connotate da margini maggiori (consulenza, pagamenti, origination, vendite di prodotti, servizi accessori rispetto all'erogazione dei prestiti ed alla custodia dei depositi, ecc.), misurati in termini diROE. Quindi: o le banche si adeguano ai targets di prezzo settati dagli operatori non bancari o semplicemente perdono quote di mercato.Nel primo caso, però,necessitano di agire sulla struttura dei costi,soprattutto quelli fissi,assolutamente non comparabile con quella snella e talvolta del tutto inesistente vantata dagli innovatori (e da qui il necessario ridimensionamento del personale).
Le aziende delFinTech, gli on line services providers, i service-offer aggregators, hanno un obiettivo comune molto chiaro: conquistare, tra gli altri, il settore dei pagamentirivelatori delle dinamiche comportamentali degli utenti (così da poter impiegare ibig data ad essi associati nell'offerta di nuovi servizi di consulenza “bespoke”) ed il comparto dell' asset management (comprensivo delle segmento previdenziale, dei prodotti di investimento ed assicurativi). Una siffatta realtà rappresenta un grosso problema per le banche anche in ragione del fatto che, gli innovatori, non solo dispongono di tecnologie tali da consentire loro ingressi rapidi sui mercati a fronte di rapporti qualità/prezzo particolarmente alti ma anche in grado di garantire l' implementazione di pratiche di bundling praticamente su tutto quanto di commerciabile oggi esista sia a livello finanziario che materiale.
A differenza delle banche tradizionali gli operatori del FinTech, sin dalla comparsa del fenomeno, hanno colto la sfida/opportunità di operare con margini limitati, trasferendo ai propri clienti sotto forma di costi particolarmente bassi e/o di servizi gratuiti (quindi di risparmi notevoli) ciò che astrattamente rappresenterebbe la restante quota dei margini tradizionalmente spuntati dagli incumbents. NerdWallet, BankBazaar.com, Tencent, Moneysupermarket.com. Airpay ,non hanno come obiettivo primario quello di “catturare” i consumatori nelle proprie reti, ma di offrire loro una piattaforma dalla quale accedere ad una vasta scelta di service providers, rappresentando un modello di cooperazione competitiva che tende a spingere verso il basso i margini delle banche impegnate a sviluppare risposte competitive proprietarie concettualmente simili.
Negli ultimi 3 anni, le variazioni dei ROE nel settore bancario globale sono state guidate al rialzo dalla crescita dei ricavi “indiretti”come i risparmi d'imposta, riduzioni nell'ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie, riduzione dei costi e dei rischi operativi. Nel frattempo, però, i margini operativi si sono ridotti a causa della crescente pressione competitiva interna ed esterna al settore. E' vero che i tassi bassi o negativi hanno eroso ed erodono margini di intermediazione ma è altrettanto vero che la riduzione del costo del funding ha permesso alle banche di affrontare, compensandola in parte, la caduta dei margini osservata nei settori operativi differenti dall'intermediazione creditizia pura, imputabile anche alla comparsa dei disruptors. In tal senso, ritengo che il futuro rialzo dei tassi non consentirà alle banche di aggiornare verso l'alto i margini operativi delle attività tradizionali tanto da poter compensare il corrispondente incremento dei costi funding.La lettura di questo fattore, in combinazione con la crescente pesantezza dei regimi regolatori, ci consente di capire bene che il modello bancario tradizionale sarà chiamato a reggere la crescente pressione dei competitors del FinTech strutturalmente molto più flessibili e di base tecnologicamente meglio equipaggiati .L'incremento quantitativo del Tier 1 Ratio, unitamente al richiesto innalzamento qualitativo degli assets sottostanti, finiranno per spingere al rialzo i costi associati ai cuscinetti di capitale con conseguente ulteriore traslazione degli effetti, al ribasso, sui margini operativi.
Il deleveraging osservato a partire dalla crisi subprime related ha significato, tra le tante cose, un assestamento dei loan-to-deposits ratios intorno ad un valore attualmente pari al 108% circa nelle economie avanzate, con conseguente caduta della profittabilità della tradizionale attività di intermediazione creditiziacompensata, in parte, dall' aumento dei leverage ratios osservato negli ultimi anni nei paesi emergenti, i quali hanno sperimentato un incremento dei loans-to-deposits ratios. Tuttavia,presto o tardi i mercati emergenti dovranno affrontare una fase di deleveraging strutturale la consapevolezza della cui inevitabilità ha già aperto le porte ad una forte competizione, tra banche tradizionali ed operatori del FinTech, in quell'area geografica. In altri termini, le banche mature, da un lato sperimenteranno una compressione della profittabilità legata a cambiamenti strutturali in atto nei mercati emergenti; dall'altro, tale condizione, espressione della materializzazione dei rischi legati all'operare in un ambiente economico stagnante qual è quello delle economie avanzate a noi contemporanee, risulta già riflessa nei loro libri contabili dal 2012 circa e continuerà ad esserla ancora negli anni a venire.
Nessun commento:
Posta un commento