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Come dicevamo nei due post precedenti, il quesito principale al quale occorre dare una risposta è se un token possa o meno essere considerato strumento finanziario. La risposta risulta essere di particolare importanza in quanto, se affermativa, implicherebbe la sicura applicazione della disciplina comunitaria in materia di prospetto e quella eventuale della MAR, della MIFID, della UCITS e dell’ EMIR. In generale, la normativa UE fornisce tre criteri formali (trasferibilità, standardizzazione, negoziabilità sul mercato dei capitali) ed uno sostanziale (la comparabilità dello strumento con una lista di esempi tra i quali sono annoverati azioni ed obbligazioni) al fine di rilevare la presenza di uno strumento finanziario. Attenzione: non é invece necessaria l’esistenza di un documento di registrazione o di un certificato per poter attestare l’esistenza di uno strumento finanziario.
Tuttavia, posta l’esistenza del requisito sostanziale della comparabilità, è possibile sin da ora escludere, per il quesito di cui sopra, la proponibilità di una risposta valida per ogni circostanza ove bastata sui soli requisiti formali; viceversa, la riconducibilità del token all’ archetipo di strumento finanziario delineato dal regolatore europeo dipenderà dalle caratteristiche proprie di questo, caso per caso.
Analizziamo adesso il primo requisito formale, quello della trasferibilità. Secondo il regolatore europeo, un’ unità finanziaria può definirsi trasferibile se assegnabile, se attribuibile a qualsiasi altro soggetto indipendentemente dall’ esistenza di un documento di registrazione o di un certificato. Poiché i tokens possono essere venduti sul secondario, possiamo concludere che essi siano per la quasi totalità trasferibili ed affermare che eventuali clausole di lock-up non incidano minimamente sulla sussistenza della feature predetta. Viceversa, la presenza di restrizioni tecniche al trasferimento della proprietà del token, con conseguente creazione di un legame duraturo tra il singolo proprietario del token ed i diritti derivanti dalla disponibilità di questo, permetterebbe di escludere alla radice l’esistenza del requisito. Un caso noto in tal senso è quello del token EOS: «[EOS] “will become fixed (non-transferable) on the Ethereum blockchain within 23 hours after the end of the final EOS Token distribution period which will occur on June 1, 2018».
Parliamo adesso del secondo requisito formale, quello della negoziabilità. Mentre la trasferibilità attiene alla mero passaggio della proprietà dello strumento finanziario, la negoziabilità attiene alla semplicità con cui detto passaggio possa avvenire. Quindi, la negoziabilità presuppone la trasferibilità. Nel regime giuridico europeo, nel caso in cui uno strumento finanziario dovesse essere negoziato su di un mercato regolamentato o MTF, si potrebbe affermare con certezza che lo stesso sia trasferibile. I tokens non sono scambiati, ancora, su mercati regolamentati bensì su exchanges. Tuttavia, a noi non interessa neanche sapere se un exchange sia o meno qualificabile come MTF ex MIFID in ragione del fatto che, secondo la Commissione Europea, anche gli strumenti inidonei ad essere tradati su regolamentati o MTF potrebbero essere astrattamente qualificabili come negoziabile. Quello che a noi, viceversa, interessa sapere è se il singolo token sia o meno facilmente negoziabile sui mercato dei capitali. La circostanza che vede la quasi totalità dei tokens facilmente scambiabile (anche solo potenzialmente) sugli exchanges è chiaro indice di negoziabilità.
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Analizziamo adesso il terzo requisito formale, quello della standardizzazione. Senza standardizzazione non c’è strumento finanziario e se non c’è strumento finanziario non si applicano tutte le normative di cui sopra e di cui ai post precedenti. Gli strumenti finanziari trasferibili sono classi di strumenti dotati di alcune caratteristiche ben determinate; in altri termini, affinché sussista la standardizzazione, le unità emesse debbono possedere qualità comuni cosicché possa essere sufficiente far riferimento al tipo ed al numero di unità emesse per poterle negoziare. Qui potrebbe sorgere qualche problemino posto che ogni token può avere caratteristiche diverse dagli altri; tuttavia, poiché la MIFID nulla dice sul livello astratto della strandardizzazione minima, è sufficiente che i tokens siano fungibili (e dunque abbiano le stesse caratteristiche) nell’ambito di una stessa emissione predisposta da uno stesso emittente e legata ad un dato round di raccolta fondi. Tra l’altro, è proprio in presenza della standardizzazione che assume valore l’obbligo di redazione del prospetto perché in questo, teoricamente, possono essere convogliate tutte le informazioni necessarie a ridurre l’asimmetria informativa tra emittente ed investitore. La recente ICO wave ci ha inoltre fornito un duplice dato: da una parte, la presenza di numerosi emittenti tokens eteregonei; dall’ altra, la presenza di speculatori (presunti investitori) particolarmente attratti da questa eterogeneità. A sua volta, quanto più elevata risulti essere l’ eterogeneità dei tokens tanto maggiore sarebbe la necessità di ridurre l’asimmetria informativa per gli investitori convogliando, ex lege, tutte le informazioni rilevanti nel prospetto. In altri termini: qualora la standardizzazione dovesse essere elevata la predisposizione del prospetto sarebbe particolarmente utile; viceversa, in caso di elevata eterogeneità la predisposizione del prospetto sarebbe particolarmente necessaria.
Al fine di rilevare il requisito della standardizzazione è dunque sufficiente che questa esista a livello di singola emissione e non anche tra tokens negoziati sulla stessa o su diverse piattaforme. Parimenti, la presenza dei tokens su exchanges relativamente liquidi (non tutti i volumi che vediamo sono infatti reali a causa di un diffusissimo wash trading) garantisce la sussistenza del requisito della negoziabilità e dunque della trasferibilità.
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