mercoledì 20 agosto 2014

BREVE INTRODUZIONE AL PATTO TRA BANCHE ED HEDGE FUNDS VOLTO AD ELUDERE IL FISCO E AD AGGIRARE I LIMITI POSTI ALL' USO DELLA LEVA FINANZIARIA, TRAMITE BASKET OPTIONS: ASPETTI CONTRATTUALI

Nel post precedente ho analizzato sommariamente alcuni degli aspetti dello schema finanziario usato da banche ed hedge funds per eludere il fisco ed aggirare i limiti all'uso della leva finanziaria nell'attività di trading; nel post che segue, cercherò di fornire un livello di dettaglio maggiore di alcune delle previsioni contrattuali.
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I contratti “basket options” venivano strutturati ed emessi dalla banca “sponsor” e sottoscritti dall' option holder, il quale coincideva sempre con un hedge fund. La transazione base che legava questo investitore istituzionale alla banca, consisteva nell'acquisto di un'opzione basata sulla performance di un paniere non specificato di assets (la mancata specificazione serviva proprio a lasciare mano libera per gli acquisti e le vendita intraday) collocati in un conto predefinito, aperto in nome della banca ed utilizzato per il proprietary trading della medesima, nel senso che tutti gli assets erano acquistati a suo nome. Al fine di ridurre il rischio operativo, il contratto di opzione prevedeva generalmente, un numero -comunque molto contenuto- di parametri base degli assets potenzialmente acquistabili tramite il conto, lasciando -ad ogni modo- ampia discrezionalità nel processo di selezione sia a livello qualitativo che quantitativo. All'hedge fund era richiesto di depositare sul conto, come collaterale, un “cash premium” pari al 10% del capitale totale da investire; il restante 90% era finanziato dalla banca la quale riceveva dal primo commissioni proporzionate al valore assoluto della liquidità messa a disposizione. Il 100% del capitale, veniva poi usato per la conduzione di trades sino a quando l'option holder non avesse esercitato l'opzione: se a quel tempo l'opzione fosse risultata “in the money”, la banca pagava il corrispondente profitto all'hedge fund, al netto delle spese e delle commissioni per l'attività di trading e di finanziamento.
Nei contratti proposti dalla banca all' hedge fund cliente, le prima si impegnava a nominare il general partner (o amministratore) del secondo, quale investment advisor limitatamente agli assets da collocare nel conto dedicato, nel corso della durata dell'opzione. L' advisor esercitava un controllo completo sui titoli riconducibili allo schema, predisponendo una propria strategia d'investimento resa operativa sfruttando – tra l'altro- tutte le agevolazioni proprie della banca nell'esecuzione delle singole operazioni di compravendita. In alcuni casi, l'advisor usava degli algoritmi per lo svolgimento di tranding ad alto volume, con più di 100.000 transazioni al giorno: alcune di quelle posizioni erano tenute aperte per qualche minuto; altre per qualche settimana; altre ancora -la maggior parte- per secondi o frazioni di secondo, per ordini totali annui anche superiori a 120 milioni.
Agendo come advisor, l'hedge fund -option holder- diveniva la parte che controllava effettivamente la trading strategy, il timing dei trades e che selezionava gli assets per il conto di riferimento, rimanendo esposto ai guadagni ed alle perdite potenzialmente derivanti dalla sua operatività; il rischio di perdite non era tuttavia da esso sostenuto al 100% in quanto la banca (le banche) offriva la cosiddetta “gap protection” in caso di totale fallimento di mercato. Il rischio rimaneva ad ogni modo piuttosto contenuto, come si può desumere dal fatto che nonostante centinaia di milioni di trades eseguiti complessivamente nell'ambito di queste architetture operative, mai nessuna banca è stata costretta a coprire – da quello che è dato conoscere- una perdita dovuta ad un “fallimento di mercato”.




Al fine di minimizzare il “gap risk”, il contratto dell'opzione conteneva numerose previsioni volte a limitare le trading losses del conto, al “premio” del 10% versato dall'hedge fund. La disposizione - chiave riguardava la determinazione di un soglia - limite di perdita, chiamata a volte -barrier o knockout- la quale se raggiunta, avrebbe determinato la cessazione o “knockout” dell'opzione e l'avvio della liquidazione degli assets del conto, da parte della banca.
Nel corso della durata del derivato, le transazioni erano eseguite in nome della banca ed i relativi titoli erano detenuti nel conto dedicato al suo proprietary trading, così come in esso erano contabilizzati profitti e perdite sino all'esercizio dell'opzione, il cui timing era deciso esclusivamente dall'hedge fund. In nessun caso le banche hanno trattenuto una quota dei profitti per sé (e ricordiamo che alcune di queste operazioni sono andate avanti anche per 15 anni): ove realizzati, venivano totalmente trasferiti all' option holder.
Negli USA ed in altre giurisdizioni, con riguardo alle basket options esercitate oltre un anno dopo dalla loro creazione, gli hedge funds che le detenevano hanno asserito che ogni profitto derivante da operazioni di breve e brevissimo termine, nel periodo in cui si è svolta la vita dell' opzione, avrebbe potuto essere riqualificato ai fini fiscali come long term capital gain a seguito del relativo esercizio. Quindi, anche le transazioni durate pochi secondi o eseguite un'istante prima dell'esercizio dell'opzione -sostenevano- avrebbero potuto usufruire di un aliquota fiscale minore, poiché connesse ad un opzione detenuta per più di un anno: negli USA per esempio, il risparmio d'imposta si è rivelato notevole, considerando che l'aliquota agevolata era originariamente fissata al 15% e poi al 20%, mentre quella ordinaria è del 39%.
Le varie agenzie fiscali, l' IRS per gli USA, molti anni dopo (più o meno dal 2012 in poi) rispetto all'inizio del fenomeno in esame (retrodatabile al 1998), hanno emanato delle circolari, nelle quali si afferma (con qualche variazione sul tema) che le basket options connesse ad un account presentante assets costantemente mutevoli, non funzionano come vere opzioni, ragion per cui gli investitori sono tenuti a riconoscere i profitti e le perdite derivanti dall'attività di trading e risultanti dai vari conti, al momento della loro emersione (quindi anche dopo pochi secondi o pochi giorni)piuttosto che all'atto (posteriore) di esercizio dell'opzione.

Come detto nel post precedente, oltre a ridurre il carico fiscale, lo schema di finanza strutturata veniva usato altresì per aggirare i limiti all'uso della leva finanziaria (la cui misura massima è stabilita difformemente dalle diverse giurisdizioni): infatti il denaro “effettivamente” prestato, tale non appariva in quanto depositato prima nel ed impiegato poi per l'attività di trading dal conto formalmente riconducibile alla banca medesima e non all' hedge fund; se il conto risultava di proprietà della banca (non diversamente dagli assets), tenuto conto che poiché nessuno presta soldi a se stesso, nessuna operazione di prestito veniva esteriormente rappresentata, non ponendosi in definitiva il problema del rispetto dei limiti all'uso della leva. 

Foto tratta da: it.123rf.com

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