Ai Paesi alle prese con i problemi propri del debito sovrano viene richiesto – sempre più insistentemente - dalla BCE, dal FMI, dalla Commissione Europea di privatizzare tutto il privatizzabile al fine di ridurlo. Tuttavia, appare abbastanza ovvio come nessun investitore istituzionale di un certo rilievo sia disposto ad investire in bad companies pubbliche, con attivi patrimoniali caratterizzati per lo più da immobilizzazioni materiali obsolete, fortemente indebitate, perennemente in perdita, da risanare mediante onerose (anche per la collettività) e lunghe procedure di ristrutturazione societaria; il loro obiettivo è, invece, quello di metter le mani sulle aziende più redditizie, ad alto contenuto tecnologico, possibilmente strategiche. Per gli Stati in crisi, questo genere di operazioni si traducono -quasi sempre- in un doppio salasso, poiché:
proponendosi come controparti aventi il disperato bisogno di vendere, riescono a spuntare prezzi molto bassi e sicuramente non sempre in linea con i valori di mercato dell'asset ceduto;
alienando le aziende che producono miliardi di utili ogni hanno, essi dispongono sì di maggior cassa nell'immediato, perdendone però molta di più nel medio lungo termine, in quanto costrette a rinunciare ad una delle fonti di reddito tramite la quale adempiere le proprie obbligazioni (rimborso titoli di debito, pagamento pensioni, pagamento stipendi p.a. ecc.): in altri termine si privano di uno dei presupposti della sostenibilità del debito, vale a dire la capacità di produrre reddito nel medio - lungo termine.
Anche l'Italia ha deciso di intraprendere questa strada, ragion per cui in questo post vorrei – sommessamente- esaminare alcuni aspetti della recente parziale cessione di Terna e Snam, partendodall'analisi degli assetti societari dei soggetti coinvolti in questa operazione.
Il 30 Luglio 2014, la Cassa depositi e prestiti Spa ha comunicato che il CdA della società, riunitosi sotto la presidenza di Franco Bassanini, ha approvato la cessione di una quota del 35% del capitale sociale di CDP RETI Spa, per un corrispettivo non inferiore a 2.101 milioni di euro, a State Grid International Development Limited (SGID), società interamente controllata dalla State Grid Corporation of China.
Chi è CDP?
Cassa depositi e prestiit è una Spa a controllo pubblico: 80,1% MEF (Mistero Economia e Finanze); 18,4% Fondazioni Bancarie; 1,5 azioni proprie. Gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale che rappresenta la principale fonte di raccolta. Impiega le sue risorse per il finanziamento degli investimenti della PA, lo sviluppo delle infrastrutture; il sostegno dell'economia e del sistema imprenditoriale nazionale. CDP è il principale azionista di ENI, TERNA, SNAM.
Di seguito, vediamo cosa abbia ceduto CDP, quindi il Governo.
Chi è CDP RETI?
E' una società interamente di proprietà di CDP che detiene una partecipazioni pari al 30,00% del capitale sociale di SNAM Spa, il gruppo italiano integrato che presidia le attività regolate del settore del GAS. Inoltre, prima del closing della cessione, CDP conferirà a CDP RETI la propria partecipazione in TERNA SPA (pari al 29,851% del capitale sociale), operatore italiano leader nelle reti di trasmissione di energia elettrica.
Chi è SNAM Spa?
Oggi Snam è una holding che controlla:
Snam Rete Gas S.p.A., che è la principale società italiana di trasporto del gas naturale;
Gnl Italia S.p.A., che è il principale operatore di rigassificazione del gas naturale liquefatto in Italia (era l'unico fino all'entrata in esercizio del rigassificatore di Rovigo);
STOGIT S.p.A., che si occupa di stoccaggio del gas naturale;
Italgas S.p.A., che si occupa di distribuzione del gas naturale.
La nuova società è stata costituita per recepire il terzo pacchetto energia europeo e si incentra sui compiti di Corporate incaricata di esercitare l'indirizzo ed il controllo del gruppo (Snam Rete Gas, Italgas, Napoletana Gas, Stogit e Gnl). Al suo interno vi sono i seguenti ambiti: Audit, rapporti con gli investitori, relazioni istituzionali, affari legali e Persone e Servizi.
I principali azionisti di Snam sono CDP Reti con il 30%, seguita da ENI con il 8,54%. Di seguito, in dettaglio, la composizione dell’azionariato, aggiornato al mese di maggio 2014.
Bilancio 2013 Snam nel 2013
Ha fatturato 3.73 miliardi di euro, di cui: 2 miliardi dall'area Trasporto; 1.31 miliardi dall'area Distribuzione; 0.48 miliardi dall'area Stoccaggio; 0.18 miliardi dall'area Corporate ; 0.03 miliardi dall'area Rigassificazione. I maggiori clienti di Snam sono Eni ed Enel Trade: Snam mette a disposizione degli operatori la capacità di trasporto della rete dei suoi gasdotti ed effettua il vettoriamento del gas fino ai punti di riconsegna della Rete Regionale dove viene consegnato agli operatori stessi.
Ebitda di 2.8 miliardi, Ebit di 2.03 miliardi, utili per 917 milioni di euro.
Patrimonio netto di 5.99 miliardi, capitalizzazione di 13.65 miliardi. Il valore residuo di immobili, impianti e macchinari è pari a 14.85 miliardi, 13.32 miliardi di indebitamento finanziario netto.
Ha immesso nella rete 69.1 miliardi di metri cubi di gas naturale, la rete nazionale di trasporto si compone di 32.306 km di rete di gasdotti, possiede 52.993 km di rete di distribuzione di gas, 6045 dipendenti. Fonte: Bilancio Snam al 31.12.13
Presidente CdA Lorenzo Bini Smaghi (ex board BCE)
Ricordiamo, inoltre, che dal 2003 in Italia è attivo un hub (virtuale) definito Punto di Scambio Virtuale (PSV). Tecnicamente si tratta di una piazza OTC (Over the Counter) e le operazioni sono tuttavia facilitate dalla presenza di forme contrattuali standard, come ad esempio quelle predisposte dall'Associazione Europea dei Grossiti e Trader di Eneergia (EFET) e da database “Consuntivo Scambi/Cessioni di gas al Punto di Scambio Virtuale (PSV), gestito proprio da Snam Rete Gas (controllata Snam)
Chi è TERNA Spa?
Nel 2011 il Gruppo Terna modifica il proprio assetto societario costituendo una holding da cui dipendono due società operative interamente controllate Terna Rete Italia e Terna Plus ciascuna con un proprio amministratore delegato e un proprio Consiglio di amministrazione. Il 31 gennaio 2012 Terna presenta il Piano di Sviluppo della Rete Elettrica di Trasmissione Nazionale il quale prevede, per il decennio 2012-2021, investimenti per oltre 7 miliardi di euro finalizzati a realizzare benefici in termini di efficienze per il sistema elettrico tra cui la diminuzione delle perdite di energia e la riduzione delle emissioni di CO2.
Le attività
Lo scenario di business in cui opera il Gruppo Terna è quello dell’energia elettrica in alta tensione. L’energia, una volta prodotta, deve essere trasmessa e il settore della trasmissione è uno dei quattro segmenti che ne compongono la filiera: produzione, trasmissione, distribuzione e vendita. Le attività di Terna riguardano la fase della trasmissione dell’energia elettrica sulla rete ad alta ed altissima tensione: la società si occupa quindi di trasportare energia in alta tensione dai punti di produzione a quelli di distribuzione, e di gestire il sistema elettrico, gli impianti e di sviluppare la rete elettrica.
Gli asset di Terna:
63.578 km di linee
445 stazioni di trasformazione e smistamento
1 centro Nazionale di Controllo (CNC)
8 Centri di Ripartizione (CR)
3 centri di teleconduzione (CTI)
22 linee di interconnessioni con l'estero (CTI)
SA.PE.I. il più lungo cavo sottomarino al mondo 435 km, con una potenza da 1.000 megawatt. Per proteggere i suoi asset, TERNA si è dotata di un'organizzazione idonea a tutelare le infrastrutture fisiche e tecnologiche dell’azienda, anche attraverso un’attività proiettata alla prevenzione e gestione dei fenomeni di frode aziendale. In questo ambito, per garantire la massima tutela di tali infrastrutture e degli investimenti, sono stati stipulati protocolli d'intesa, primi per genere e tipologia con Ministero degli Interni, Carabinieri e Guardia di Finanza.
La remunerazione di Terna
Per le sue attività Terna riceve una remunerazione in base ad un sistema tariffario stabilito dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG). Terna viene remunerata per l’uso della porzione di RTN sulla base di un corrispettivo tariffario riconosciutole dall’AEEG (aggiornato ogni quattro anni) per le attività di gestione del sistema elettrico, sulla base di voci tariffarie che seguono l’evoluzione delle regole sul mercato elettrico.
Struttura del Gruppo
Il Gruppo Terna include: le società italiane controllate direttamente (quota di possesso pari al 100%)
società collegata CESI S.p.A. (partecipata al 42,698%);
società collegata CORESO S.A. (partecipata al 22,485%);
società collegata CGES (partecipata al 22,0889%);
società a controllo congiunto ELMED ÈTUDES Sàrl (partecipata al 50%);
la società italiana controllata indirettamente tramite Terna Plus S.r.l.(quota di possesso pari al 100%) Terna Storage S.r.l;
la società italiana controllata indirettamente tramite SunTergrid S.p.A. (quota di possesso pari al 100%) Rete Solare S.r.l;
Terna Linee Alta Tensione S.r.l.
Il 1º aprile 2009 Terna acquista da Enel Distribuzione S.p.A., il 100% di Enel Linee Alta Tensione S.r.l., società proprietaria di 18.583 chilometri di rete elettrica in alta tensione per un corrispettivo di 1.152 milioni di euro. Terna è diventata gestore del 98,5% di tutta la rete nazionale.
Dati economici e finanziari
2007
Terna nel 2007 ha realizzato ricavi per 1348,2 milioni di euro, un EBIT di 722,7 milioni, un MOL di 977,8 milioni, un utile di 432,8 milioni. L'indebitamento finanziario ammonta a 2308,7 milioni, una capitalizzazione di oltre 5 miliardi di euro. Il valore di un'azione è 2,758 euro.
2008
Il gruppo Terna ha conseguito ricavi per 1395.2 milioni di euro, un EBIT di 714.3 milioni, MOL di 994.7 milioni, utili per 341.4 milioni. Patrimonio netto di 2076.8 milioni, indebitamento finanziario netto di 3365.8 milioni, debiti commerciali per 1880.6 milioni, 3734 dipendenti. Solo Terna S.p.A. ha avuto ricavi per 1196.1 milioni, EBIT di 597.2 milioni, MOL di 850.7 milioni, utili per 335.3 milioni. Patrimonio netto di 2028 milioni, debiti commerciali per 1874.4 milioni, indebitamento finanziario netto per 2954.1 milioni.
2009
Terna ha conseguito nel 2009 un utile 771 milioni di euro. Iricavi sono stati 1.360,7 milioni di euro, +13,8%. L’Ebitda si è attestato a 1.003,2 milioni di euro, +18,0%. L’Ebit a 694,4 milioni di euro, con un incremento del 16,3% su base annua[18]. Investimenti a 900,4 milioni di euro, +17,7%. Il Consiglio, nell’approvare i risultati, ha proposto per il 2009 un dividendo di 19 centesimi di euro per azione (+20% rispetto al 2008) di cui 7 cent già pagati come acconto e 12 cent a saldo a giugno 2010.
2010
Terna nel 2010 ha ottenuto 1.58 miliardi di euro di ricavi, un Ebitda di 1.17 miliardi, Ebit di 814.4 milioni, utili per 613.6 milioni. L' indebitamento finanziario netto ammonta a 4.94 miliardi, 6.3 miliardi la sua capitalizzazione. Sono stati effettuati investimenti per euro 1.06 miliardi che hanno finanziato la costruzione di 1.000 km di nuovi elettrodotti e di 48 nuove stazioni. Ha 3468 dipendenti. Gestisce 63.578 km di linee elettriche su cui sono stati vettoriati 326.16 miliardi di kWh, di cui:
286.53 miliardi prodotti da impianti in Italia;
45.76 miliardi importati;
1.81 miliardi esportati all'estero;
4.31 miliardi destinati alle stazioni di pompaggio.
A loro volta i 286.53 miliardi di GWh derivano da:
Centrali Termoelettriche - 218.35 mldù;
Centrali Idroelettriche - 53.16 mld;
Impianti Eolici - 8.37 mld;
Centrali Geotermiche - 5.03 mld;
Impianti Fotovoltaici - 1.6 mld
Fonte: Bilancio Terna S.p.A. Al 31.12.10
2011
Il 2011 rappresenta il settimo anno consecutivo di crescita per il Gruppo. I dividendi si mantengono a 21 centesimi di euro per azione. I ricavi sono pari a 1.635,6 milioni di euro (+2,9% rispetto al 2010), di cui circa 1.484,5 milioni di euro sono riferiti alla Capogruppo e circa 150,1 milioni alla controllata Terna Rete Italia. L’Utile netto ottenuto è di 440,0 milioni di euro. L’Utile Netto delle Attività Continuative Adjusted è pari a 465,3 (+1,1% rispetto all’esercizio precedente). L’Ebitda si attesta a 1.229,7 milioni di euro (+4,7% rispetto al 2010); l’EBIT a 835,6 milioni di euro (+2,6%). Il Gruppo ha effettuato investimenti complessivi in Attività Tradizionali per 1.219,8 milioni di euro (+5% rispetto al 2010) e 9,4 milioni di euro in Attività Non Tradizionali. I risultati del 2011 sono stati presentati dall’Amministratore Delegato Flavio Cattaneo durante il Consiglio di Amministrazione di TERNA S.p.A. riunitosi per approvare il Piano Strategico 2012-2016.
2012
Il gruppo Terna ha chiuso il 2012 con 1.80 miliardi di ricavi, di cui:
I ricavi aumentano principalmente per effetto dell'incremento dei Corrispettivi richiesti Ebitda di 1.39 miliardi, Ebit di 969 milioni, utili per 464 milioni. Il valore residuo di impianti, immobili e macchinari è di 9.34 miliardi, 2.79 miliardi di patrimonio netto, 3.433 dipendenti, 57.438 km di Rete. Sono entrate in esercizio nuove linee per 28.2 km ed effettuati 1.23 miliardi di investimenti per l'ammodernamento e il potenziamento della rete.
2013
Il Gruppo Terna ha chiuso il 2013 con:1.896 milioni di euro di ricavi (+5%); Ebitda a 1.481 milioni di euro (+6,5%); Ebit a 1.038 milioni di euro (+7%); Utile netto pari a 514 milioni di euro (+10,8%). È stato inoltre approvato il dividendo a 20 centesimi di euro per azione, in linea con la politica dei dividendi.
Chi è State Grid (l'acquirente)?
State Grid Of China, fondata il 29 Dicembre 2002, è una società a controllo statale. Classificatasi settima nella graduatoria delle 500 più grandi società del mondo, è la più grande utility a livello globale, con 1,5 milioni di dipendenti, al servizio di una popolazione di oltre un miliardo di persone. Essa è interamente controllata da State Grid Corporation of China) e rappresenta l'unico veicolo per concludere operazioni e investimenti di capitale all'estero per conto di SGCC.
A SGID sono inoltre riconosciuti diritti di governance a tutela del proprio investimento nella società. In particolare, essa potrà nominare due amministratori su cinque del CdA di CDP RETI e un membro su tre del collegio sindacale della società. SGID godrà inoltre di un diritto di veto rispetto all'adozione – sia da parte del CdA di CDP RETI, sia da parte dell'assemblea dei soci di CDP RETI- di alcune particolari delibere (al momento non è dato sapere quali).
Al fine di rafforzare la cooperazione fra le parti, CDP e SGID hanno stabilito che, sulla base delle esigente operative di CDP RETI, State Grid International Development possa proporre il nominativo di uno o due candidati che concorrano alla gestione operativa della società. La decisione finale in merito spetterà, in ogni caso, all'organo competente di CDP RETI. Inoltre SGID avrà diritto a designare un amministratore nei consigli di amministrazione di SNAM e TERNA: il closing è previsto per fine anno.
A questo punto, qualcuno potrebbe domandarsi quali siano gli aspetti controversi di detta operazione: a modesto parere di chi scrive, ce ne sarebbero diversi ma intendo soffermarmi principalmente su quelli legati alla natura di chi ha rilevato il pacchetto azionario di cui sopra.
SGID è un sovereign investment vehicles,in quanto controllata da State Grind Corporation of China, a sua volta controllata al 100% dal Governo Cinese. In altri termini, è come se Cassa depositi e prestiti avesse ceduto la proprio partecipazione in CDP RETI (e quindi in Terna e Snam) direttamente al Governo Cinese, alla Cina intesa quale Stato.
I Fondi Sovrani e le state-backed companies, dispongono di un'immensa liquidità investita negli ultimi anni in numerose aziende a livello mondiale: basti pensare che l' Abu Dhabi Investment Authority (al 2011) gestiva una massa patrimoniale pari a 625 miliardi di USD; il Government Pension Fund – Global norvegese (sempre al 2011), gestiva valori pari a 530 di USD; nello stesso anno i due fondi sovrani cinesi vale a dire il SAFE Investment Company ed il China Investment Corporation, vantavano un attivo pari a complessivi 679 miliardi di USD.
Nel 2008 nell’ambito degli investimenti azionari, quelli effettuati nel settore finanziario rappresentavano il 75% del totale (si stima che tra il 2007 e il 2008 i Fondi Sovrani abbiano investito in istituzioni finanziarie occidentali circa 55 miliardi di dollari). Ad esempio, il Fondo Sovrano di Singapore, il Government Investment Corporation, ha partecipato nel 2007 sia alla ricapitalizzazione di UBS (sottoscrivendo una quota di poco inferiore al 10%), sia all’aumento di capitale di Citigroup, nel gennaio del 2008, con un investimento di 6,68 miliardi di dollari. All’aumento di capitale di Citigroup ha partecipato anche il Fondo Sovrano del Kuwait con 3 miliardi di dollari; lo stesso Fondo ha anche preso parte alla ricapitalizzazione di Merrill Lynch, insieme a quello della Corea del Sud. Anche negli anni successivi all’esplosione della crisi globale i Fondi Sovrani hanno continuato a manifestare forte interesse per gli investimenti nel settore bancario: infatti nella lista delle dieci operazioni più rilevanti effettuate dai SWFs, redatta annualmente dal Sovereign Wealth Institute (istituto americano specializzato nell’analisi della transazioni effettuate dai Fondi Sovrani) sia nel 2010 che nel 2011 compaiono molte operazioni riguardanti il settore bancario: in particolare, si segnala nel 2010 l’investimento del Fondo Sovrano del Qatar, la Qatar Investment Authority, nella Agricultural Bank of China e nel Banco Santander e, nel 2011, in Barclays e in Credit Suisse.
Nel 2009 si è assistito, invece, ad un’inversione di tendenza, con forti investimenti azionari nei settori non finanziari (automobilistico, infrastrutture e industria di lusso). Nel 2010 il settore finanziario è tornato ad essere quello in cui i Fondi Sovrani hanno investito maggiormente, dal momento che il 40% circa del valore degli investimenti azionari effettuati si è concentrato in tale settore. I Fondi Sovrani hanno acquistato anche partecipazioni in hedge fund e fondi di private equity, nonché in società di gestione dei mercati di strumenti finanziari (tra lequali il London Stock Exchange, partecipata dal Fondo Sovrano di Dubai e dal Fondo del Qatar). Il fondo di Abu Dhabiha acquistato il 7,5% della società di private equity Carlyle Group e il 9% di Apollo Management, mentre quello di Dubai ha comprato il 9,9% dell’hedge fund Och-Ziff Capital Management Group;particolare interesse ha suscitato l’acquisto, da parte di China Investment Corporation, del 10% del fondo di private equity Blackston; la China Investment Corporation, tra le altre cose, ha acquistato quote della statunitense Jc Flowers, fondo specializzato in investimenti nel settore finanziario.
Diversi possono però essere i potenziali effetti negativi legati all'attivismo dei SWFs, tra i quali:
a. la scarsa trasparenza circa la dimensione dei capitali gestiti, la composizione dei portafogli e gli obiettivi di investimento;
b. il rischio di comportamenti che configurino abusi di mercato;
c. il pericolo di investimenti motivati da ragioni politiche o strategiche.
Per quanto riguarda il primo profilo, l’opacità può rappresentare un pericolo poiché gli investitori che detengono partecipazioni in un’impresa nella quale partecipa anche un Fondo Sovrano possono avere interesse a conoscere la composizione del portafoglio azionario del Fondo stesso e a capirne gli obiettivi di investimento. Questi timori assumono particolare rilievo alla luce del fatto che una recente analisi ha mostrato come, su un campione di 44 Fondi Sovrani, solo 17 hanno un livello di trasparenza in linea con standard ritenuti ‘minimi’. Con riferimento al rischio di comportamenti abusivi, occorre rilevare che, data l’opacità che caratterizza le modalità operative di taluni Fondi Sovrani, i Governi gestori dei Fondi Sovrani possano giovarsi di informazioni riservate di cui dispongono per motivi politici legati ad altre attività. Inoltre, poiché i Governi sono allo stesso tempo gestori e regolatori dei Fondi Sovrani, si potrebbe concretizzare il rischio che tale commistione di competenze renda i controlli sui Fondi meno efficaci. Per ciò che concerne il pericolo di investimenti motivati da ragioni “strategiche”, la principale fonte di timori che si registra a livello internazionale è costituita dalla possibilità che gli obiettivi perseguiti dai Fondi Sovrani non siano di natura esclusivamente economica o di semplice massimizzazione del valore degli investi- menti ma che questi siano, invece, finalizzati ad assicurarsi il possesso di tecnologie avanzate (problema, questo, particolarmente sentito con riguardo alle società che lavorano nel settore della difesa), a guadagnare l’accesso a risorse naturali o a migliorare la competitività delle imprese nazionali concorrenti di quelle partecipate.
E' da notare come detti Fondi operino in assenza di una qualsiasi regolamentazione internazionale: i “Principi di Santiago”, la cui stesura è stata caldeggiata da FMI, Banca Mondiale, Commissione Europea, OCSE ed alla quale si è provveduto nel 2008, avrebbero dovuto spingere i SWFs (fondi sovrani) verso una maggiore trasparenza con riferimento alla propria struttura organizzativa, agli obiettivi e alle strategie di investimento. In particolare il GAAP 19 (Generally Accepted Principles and Practcies), afferma che: «se le decisioni di investimento sono dettate da ragioni diverse da quelle economiche e finanziarie, esse devono essere chiaramente esposte nelle politiche di investimento ed essere rese pubbliche»;il GAAP 20 stabilisce invece che «il Fondo non deve cercare di ottenere vantaggi attraverso informazioni privilegiate o l’influenza inopportuna del Governo e deve rendere pubbliche quali siano le proprie forme di finanziamento».
Anche la Commissione Europea ha provato, timidamente a far sentire la sua voce in una mera Comunicazione, nella quale chiede ai SWFs di «impegnarsi volontariamente al rispetto di determinate norme in materia di trasparenza e governance, garantendo così la chiarezza sufficiente, per dissipare le preoccupazioni dell'opinione pubblica». Proviamo ad immaginareil Chief Economist di un qualsiasi fondo, chiamato a definirel'asset allocation di qualche miliardo d'euro: secondo voi si porrà il problema del turbamento dell'opinione pubblica?E' abbastanza evidente come questi tentativi di regolamentazione, siano poco più che aria fritta, per diversi motivi.
I GAAP non sono né codici, né regole, ma appunto principi come richiesto dai Paesi titolari dei Fondi Sovrani; quindi, coloro che dovevano essere regolamentati hanno stabilito il valore dei principi, pressoché nullo.
L'adesione ai GAAP avviene su base volontaria, in un contesto privo di sanzioni o di strumenti di coazione.
Il GAAP sommariamente analizzato poco sopra (19) presenta un contenuto che fa un po' sorridere: immaginate un Fondo Sovrano che intenda effettivamente portare a segno operazioni societarie allo scopo di appropriarsi di una serie di tecnologie sensibili, critiche, che insieme ad altre rappresentino il presupposto dell'integrità militare o sanitaria di uno Stato (fatta salva la sostenibilità economica dell'operazione). Sicuramente non sbandiererà ai quattro venti il suo intento più intimo, sia per non veder compromessa la propria immagine, sia perché ove lo facesse, il Paese Target eserciterebbe immediatamente i poteri normativi di cui dispone per impedire qualsiasi trasferimento di partecipazioni societarie. Anche il contenuto del GAAP 20, lascia il tempo che trova, essendo piuttosto chiaro come i SWFs operino sfruttando proprio informazioni privilegiate, espressione massima dell'influenza esercitata su di essi dai governi proprietari/finanziatori.
La carenza di un quadro normativo internazionale unitario, fa sì che ogni Paese detti una disciplina diversa dall'altra per la tutela dei propri interessi strategici, aprendo il varco a fenomeni di arbitraggi regolamentari, essendo i capitali fisiologicamente attratti da quelle giurisdizioni in cui le limitazioni alla loro circolazione risultino modeste o inesistenti.
L’Italia, da una parte, ambisce a rafforzare la capacità del proprio sistema di attrarre capitali e, quindi, anche gli investimenti dei Fondi Sovrani; dall’altra, la maggiore presenza di tali investitori all’interno del mercato nazionale ha inevitabilmente portato a dover affrontare le criticità già riscontrate negli altri ordinamenti, quale in primis, l’esigenza di tutelare le proprie imprese strategiche. A tal fine ha emanato il Decreto Legge 15 marzo 2012 n. 2, convertito, con modificazioni, nella legge 11 maggio 2012, n. 56,“in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni” .
Rispetto alla previgente disciplina (che si rivolgeva solo alle società privatizzate), la nuova presenta un ambito di applicazione più ampio dal momento che si riferisce a tutte le imprese ritenute strategiche operanti: a) nei comparti della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1, L. 56/12) e b) nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2, L. 56/12). Più in particolare la strategicità di una impresa è riconosciuta, nel primo caso (sub lett. a), quando le imprese svolgono attività di rilevanza strategica e, nel secondo caso (sub lett. b), quando detengono attivi strategici [(per tali intendendosi le “reti e impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l’approvvigionamento minimo e l’operatività dei servizi pubblici essenziali [e] beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale” (art. 2, co. 1)].
La legge ha riconosciuto allo Stato italiano poteri speciali nei confronti delle imprese strategiche che operano nei settori della difesa e sicurezza esercitabili allorquando sussista la minaccia di un grave pregiudizio agli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale.
Tali poteri sono i seguenti:
Il potere di imporre specifiche condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle in formazioni, ai trasferimenti tecnologici e al controllo delle esportazioni nei confronti di chiunque acquisti una partecipazione in imprese strategiche.
Il potere di veto rispetto all’adozione di delibere da parte dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione di una impresa strategica.
Il potere di opposizione all’acquisto , in imprese strategiche e da parte di un soggetto diverso dallo Stato o da enti pubblici italiani o da questi controllati, di una partecipazione tale da compro mettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.
In conclusione: sarebbe realmente preferibile un maggior attivismo degli hedge funds anziché degli SWFs?
Alcuni studiosi rispondono affermativamente, a condizione che il comparto degli hedge sia maggiormente ed uniformemente regolamentato -pena la ricomparsa del solito dumping regolamentare- al fine di poter contrastare (ove necessario) -unitamente agli strumenti tipici delle golden shares e dei poteri straordinari governativi- o per lo meno competere con l'attivismo degli investitori istituzionali state backed, che pur muovendosi nell'ottima del profitto potrebbero intaccare l'integrità degli elementi fondativi della sovranità statale. Cosa succederebbe, però, ove oggetto di acquisto da parte dei SWFs fossero direttamente le partecipazioni negli stessi hedge funds? Si potrebbe impedire ai primi di operare sui secondi, limitando ulteriormente la libertà dei capitali (soluzione allo stato non praticabile sia per motivi giuridici, che politici, che di mero fabbisogno finanziario di molti Paesi): la questione resta di non facile soluzione.
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