Sino ad ora abbiamo parlato dei criptoassetspartendo dall’ assunto che sia sempre facilmente individuabile il loro essere esclusivamente currency, utility o investment tokens; tuttavia, la realtà è quasi sempre più sfumata.
Come tutti sanno, i tokens possono essere tradati sul mercato secondario (exchanges)ovvero compravenduti al fine di conseguire un profitto in conto capitale. Tale ipotetico profitto, derivante dalle spinte e dagli squilibri della domanda e dell’offerta rilevabili in un dato momento, è prioritariamente frutto degli sforzi di manutenzione e sviluppo condotti dai core developers in forze all’entità emittente i tokens. Detta condizione, a sua volta, è generatrice di forti asimmetrie informative tra gli emittenti e gli acquirenti, asimmetrie che potrebbero essere ridotte proprio imponendo ai primi la stesura di un prospetto informativo. Da quanto detto, deriva il seguente quesito: qual è la dimensione della componente speculativa o d’investimento di un token necessaria e sufficiente ad innescare l’obbligo di rispettare la disciplina comunitaria in materia di “prospetto informativo”?In tal senso, potrebbero delinearsi due risposte:
- un token potrebbe essere considerato esentato dall’ obbligo di cui sopra qualora la componente speculativa/d’investimento implicasse rischi finanziari minimi o nulli. Tuttavia, questi risultano oggi essere presenti pressoché in tutti i cripto progetti esaminati, almeno nelle forme seguenti: piattaforma dell’emittente potenzialmente non in grado di generare l’utility promessa; emittenti in grado di scappare con i fondi raccolti in sede di ICO; domanda del prodotto potenzialmente inesistente. Viceversa, la capacità dell’ emittente di creare un prodotto richiesto, verosimilmente, impatterà in maniera positiva sul valore fatto segnare dal token sul mercato secondario: in tal senso, ogni utility token potrebbe essere considerato security in ragione dei rischi finanziari che lo caratterizzano. Quindi, ancora una volta, ci troviamo dinanzi alla linea regolamentare che demarca il confine tra tutela del consumatore e tutela dell’investitore. Poiché la perdita finanziaria risulterebbe essere connessa alla mancanza dell’ utility promessa, posto che la mancanza di conformità del prodotto venduto è già appositamente disciplinata dalla disciplina europea sulla tutela del consumatore, si potrebbe ipotizzare una più agevole riconduzione della normativa degli utility tokens all’interno del novero normativo per la tutela di quest’ ultimo.
- Una seconda soluzione potrebbe imporre di considerare i tokens ibridi (utility tokens connotati da una discreta componente speculativa, ad oggi assolutamente maggioritari) assoggettabili alla disciplina UE in materia di prospetto, solo qualora l’aspettativa di conseguire un profitto dagli sforzi imprenditoriali dell’ emittente fosse uno dei motivi determinanti nelle scelte dell’ investitore medio. Tale soluzione parrebbe in linea sia con la ratio della disciplina europea in materia di strumenti finanziari che di prospetto informativo: per quale motivo? Perché allorquando il profitto dovesse dipendere dal lavoro, dall’ attività di altri (dell’ emittente nel caso di specie), l’asimmetria informativa che si verrebbe a creare atterrebbe ai rischi finanziari assunti dagli investitori e dovrebbe pertanto essere affrontata nell’ ambito del prospetto finanziario
La seconda soluzione, tuttavia, pone il seguente problema: quando è possibile affermare che l’investitore medio si attenda un profitto in conto capitale dall’ acquisto del token? La risposta a questa domanda presupporrebbe la previa conduzione di approfondite analisi empiriche oppure l’analisi approfondita del materiale pubblicitario diffuso dall’ emittente in sede di ICO nel senso che, qualora nel predetto l’emittente sottolineasse la possibilità di tradare i tokens sugli exchanges secondari a seguito della chiusura dell’ ICO, quasi sicuramente le autorità di controllo potrebbero giungere alla conclusione che l’emittente stia alimentando un’aspettativa di profitto derivante dall’ acquisto del token. Quanto sopra lascia, però, esposti al rischio di non poter applicare la predetta disciplina nel caso in cui, da una parte il materiale di marketing/pubblicitario nulla dica circa la possibilità di tradare il token sul secondario e quindi di conseguire un profitto in conto capitale e dall’altra tutti siano di fatto consapevoli che gli investitori stiano comprando i tokens alla ricerca di un profitto, con conseguente disapplicazione della disciplina in materia di strumenti finanziari proprio quando maggiore sarebbe l’esigenza di protezione per l’investitore. Ne consegue che, qualora da un punto di vista empirico dovesse risultare evidente che gli investitori intendano tradare un certo token per conseguire un profitto in conto capitale e l’emittente ne fosse o dovesse esserne consapevole, si dovrebbe applicare la disciplina in materia di prospetto finanziario.
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