Come spiegava già McKelvey nel 2008, tesi poi
riproposta dal Buiter, la
dimensione degli assets detenuti da
una Banca Centrale in un dato momento
poco dice circa la capacità della stessa di incrementarli ulteriormente in
breve tempo qualora dovesse palesarsi tale necessità. Normalmente, le Banche Centrali aumentano la
dimensione degli assets detenuti
aumentando la base
monetaria, ovvero, stampando denaro. Tecnicamente, questo significa
che detto incremento viene finanziato a debito tramite l’aumento della leva
utilizzata dalla Banca Centrale. Poiché l’indebitamento, quindi l’incremento
della leva, avviene attraverso ampliamento della base monetaria (stampa di
denaro dal nulla) non
sussiste, in termini teorici, alcun limite all’ indebitamento in valuta
nazionale cui può andar incontro una Banca Centrale e quindi alla quantità di
assets denominati in valuta nazionale che questa può acquistare e mettere a
bilancio. Acquistare degli assets tuttavia, può comportare un rischio di
perdita almeno a livello
contabile: se compro assets
di entità (aziende, banche) in difficoltà devo mettere in preventivo la
possibilità che si materializzi il default-risk. Poniamo che il capitale
di una Banca Centrale sia pari a 20 miliardi di €/$/£; immaginiamo che questa
abbia comprato alcuni assets presso alcune entità in difficoltà per 40 miliardi
di €/$/£. Immaginiamo che alcune di queste entità falliscano e che non vengano
rimborsati assets per 21 miliardi: tutto il capitale della banca centrale verrebbe
azzerato ed anzi dovrebbe mettere a bilancio un capitale negativo pari ad un
miliardo di €/$/£. Tuttavia, la lettura del solo bilancio delle Banche Centrali poco ci dice sul loro
stato di salute. Infatti, spesso in essi non è riportata la fonte più
importante di ricavi futuri, vale a dire, l’attuale valore scontato dei profitti futuri che la
Banca Centrale percepirà dalla sua capacità di estendere la base monetaria.
Inoltre, i prospetti contabili non riportano talvolta le due passività implicite più
rilevanti:
·
il
valore attuale dei costi gestionali dell’ Istituto (salari, ammortamenti, IT costs, costi per
materiale di consumo ecc.);
·
il valore attuale dei pagamenti netti
effettuati dalla Banca Centrale al Tesoro o alle Banche Centrali
Nazionali.
Ciò
significa che, con riguardo alla Banca Centrale, tra le due accezioni di
insolvenza “equitable insolvency” (incapacità di pagare i debiti) e balance sheet insolvency (condizione
in cui le passività messe a bilancio superano il valore degli assets), solo la
prima è quella che conta.
In
molti Paesi, le Banche Centrali trasferiscono una quota dei loro profitti
operativi (reddito netto da interessi meno i costi gestionali) al Tesoro il
quale spesso è l’ unico “azionista” della Banca Centrale, come accade in U.K. I
bilanci, quindi i profitti e le perdite, dovrebbero essere inclusi -e non
sempre lo sono- nel bilancio consolidato dello stato di appartenenza.
I pagamenti correnti e futuri fatti dalla
Banca Centrale al Tesoro, invece, dovrebbero
essere visti da un punto di vista funzionale, come una tassa sulla Banca
Centrale la quale potrebbe, a discrezione del Tesoro, assumere anche un valore negativo. L’assunzione di tale
valore negativo, a sua volta, equivarrebbe all’ immissione di capitale fresco
da parte del Tesoro nella Banca Centrale al fine di ricapitalizzarla.
Contemplando
la presenza degli assets e delle passività implicite sopra menzionate, possiamo
sintetizzare con una formuletta il “Bilancio Completo della Banca Centrale”
noto col nome di “Intertemporal Budget Constraint of the Central Bank”:
W* = W + S - E – T, laddove il valore di W è calcolato come già
indicato qui.
Se W* fosse pari a zero o assumesse un valore negativo, la
Banca Centrale sarebbe sicuramente insolvente. Tuttavia, è possibile che W assuma un valore negativo senza che
ciò implichi che anche W* lo assuma.
Tale ultima asserzione richiede che l’attuale valore scontato del signoraggio
presente e futuro (S) ecceda il
valore attuale scontato dei costi futuri necessari alla gestione della banca (E) più il valore attuale scontato dei futuri pagamenti
netti fatti dalla banca centrale al Tesoro (T), in misura maggiore dell’ eventuale valore
assunto da W. Pertanto il solvency costraint di una Banca Centrale può essere scritto come
segue: W* ≥ 0 o, in maniera equivalente, W + S ≥
E + T.
A sua
volta, ΔW è pari al valore degli acquisti netti di
assets finanziari meno il valore delle emissioni
nette di passività finanziarie più i
capital gains fatti segnare dallo stock di attività e passività finanziarie
detenute.
Immaginiamo
che W subisca una riduzione a causa
delle perdite patite sui titoli detenuti dalla Banca Centrale: cosa potrebbe
fare questa per restare solvibile? Potrebbe ridurre E, tirando la cinghia e/o aumentare
il valore corrente del signoraggio presente e futuro, S. Il valore di T, vale a dire i pagamenti fatti al
o ricevuti dal Tesoro, non è sotto il suo diretto controllo. “E” non
potrà mai assumere un valore negativo o pari a zero, il che significa che senza
trasferimenti ad opera del Tesoro, in caso di riduzione di W, la Banca Centrale può garantire
le proprie condizioni di solvibilità incrementando S, il signoraggio. A sua volta, il valore nominale del signoraggio è pari al valore
presente scontato della sequenza dei risparmi sui costi da interesse presenti e
futuri conseguiti grazie all’ abilità della Banca Centrale di stampare denaro.
Poniamo che it sia il tasso di interesse nominale di breve
termine rappresentate il costo-opportunità di emettere nuova moneta nel periodo
t (possiamo ricondurlo al tasso di un Treasury Bill a tre mesi o di altro
titolo di breve, default risk-free). Fatto Mt
lo stock nominale della base monetaria, il valore nominale del
signoraggio al tempo t risulta pari a itMt.
E’ abbastanza ovvio che una Banca Centrale può stabilire da sé il valore
presente scontato del signoraggio corrente e futuro. In che modo? Monetizzando,
come succede oramai da anni, il debito pubblico, ovvero, operando quale "fiscal agent" impegnato a condurre un helicopter money che può assumere le forme più svariate.
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