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Cari amici, in questo ed in altri posts vorrei provare a condividere brevemente con voi quello che è un mio pensiero sugli investimenti aventi ad oggetto le start-up e più in generale le aziende protagoniste delle grandi trasformazioni tecnologiche e delle rilevanti innovazioni apportate ai processi produttivi di beni e servizi, che stiamo vivendo.Ciò che andrò a scrivere è da leggere in riferimento agli investimenti effettuati in un'ottica buy to hold (quindi di medio-lungo periodo) e non, ovviamente, di trading intraday, anche perché non tutte lestart-up di maggior rilievo sono quotate sui mercati, pur rappresentando l'apertura alla finanza globale un punto di arrivo di particolare valore strategico (tra gli altri si veda Uber-clicca qui).
Cari amici, in questo ed in altri posts vorrei provare a condividere brevemente con voi quello che è un mio pensiero sugli investimenti aventi ad oggetto le start-up e più in generale le aziende protagoniste delle grandi trasformazioni tecnologiche e delle rilevanti innovazioni apportate ai processi produttivi di beni e servizi, che stiamo vivendo.Ciò che andrò a scrivere è da leggere in riferimento agli investimenti effettuati in un'ottica buy to hold (quindi di medio-lungo periodo) e non, ovviamente, di trading intraday, anche perché non tutte lestart-up di maggior rilievo sono quotate sui mercati, pur rappresentando l'apertura alla finanza globale un punto di arrivo di particolare valore strategico (tra gli altri si veda Uber-clicca qui).
Un qualsiasi investimento offre -al contempo- opportunità e rischi: le prime, nel settore delle start-up&C., risultano essere veramente notevoli, se consideriamo che l'azionista spesso sperimenta, in pochi anni, incrementi del valore della propria di partecipazione, in percentuali che vanno dalle 2 alle 4 cifre. La consistenza di queste performances e la rapidità con cui si manifestano, costituiscono elementi di per sé idonei a far capire perché i mondi delle start-up e delle imprese innovativerappresentino -tanto nel private equity quanto sui mercati borsistici- occasioni che, ponderate alla luce del timing operativo, potrebbero non capitare una seconda volta nel corso dell'attività di un investitore di medie capacità patrimoniali e/o propensione al rischio; in termini più semplici, investire in una di queste aziende, potrebbe rivelarsi l'affare della vita.
Accanto alle opportunità, troviamo -com'è ovvio che sia- deirischi il cui novero, essendo vastissimo, mi costringerebbe a dedicare i prossimi mesi alla trattazione esclusiva di questa tematica, ragion per cui mi limiterò a condividere con voi qualche riflessione concernente soltanto alcuni aspetti di quelli economici e finanziari.
Partiamo dai primi. Il problema che molte aziende innovatrici nate in questi anni potranno trovarsi ad affrontare (alcune anche nel breve, si veda settore biotecnologie ed aziende prevalentemente internet based), una volta superata brillantemente sia la l'iniziale fase sperimentale che la posteriore del successovissuto nella diffusione dei nuovi beni/servizi prodotti, sarà quello della saturazione dei segmenti targets di sbocco che si verificherà contemporaneamente ad una riduzione del tasso di innovazione apportato, anticipatrice di unrallentamento della crescita aziendale, con conseguente rischio di evaporazione del valore creato durante la fase di massima diffusione dei prodotti che,proprio poco prima, avevano conquistato mercati -aventi talvolta una storia pluridecennale alle spalle- solidamente nelle mani degli incumbents. L 'espansione dei prodotti frutto della combinazione di tecnologie esponenziali e modelli di business innovativi, avviene a velocità molto elevate, comuni tuttavia anche al tracollo che, alcune delle aziende protagoniste di questi anni vivrà, raggiunto il punto di saturazione,spesso risultante non identificato dal management, non a causa di condotte disattente ma a causa della rapidità con cui prodotti alternativi e più attraenti compaiono sul mercato, insinuandosi nelle quote di mercato delle aziende esistenti, ancor prima che queste abbiano ammortizzato gli investimenti sostenuti in un tempo non molto distante. Questa fase sarà caratterizzata da una forte contrazione delle vendite, nel corso della quale sussiste il rischiodi dissipazione degli utili realizzati sino a quel momento, risultando pertanto fondamentale la predisposizione di unpiano volto a governare l'uscita tempestiva dal segmento occupato, anche per il tramite della liquidazione degli assets core: quanto maggiore sarà la permanenza in questo stadio, tanto peggiori saranno le conseguenze per l'azienda. Il successo nella gestione della fase considerata, passa necessariamente dalla:
- previsione della saturazione;
- rapida cessione degli assets legati al prodotto dal mercato saturo;
- esecuzione dell'exit strategy, forti della persistenza di una posizione di vantaggio sui concorrenti.
La previsione della saturazione, postula un'analisi maniacale della curva della domanda, unitamente ad oculatissime gestioni delle forniture e del magazzino, le quali dovranno essere tanto in grado di soddisfare la forte crescita della clientela nelle fase di maturità dei prodotti, quanto di non indurre ad un sovradimensionamento delle scorte nella fase discendente del business. Errare in tali valutazioni, può voler significare avviarsi verso grosse perdite.
Al rapido declino delle quote di mercato si accompagnerà, inevitabilmente, una forte riduzione nel valore degli assets considerati strategici sino a quel momento,da smantellare nel più breve tempo possibile al maggior valore possibile, piazzandoli in segmenti in cui conservino intatta la loro utilità (anche grazie alla combinazione con altri assets) oppure cedendoli a concorrenti che non si siano resi conto del loro essere nel mezzo della saturazione.
La realizzazione del terzo punto, è quella più complessa. Uscire dal mercato quando si è forti di una posizione solida può sembrare una follia ed in parte lo è, perché significa cedere quote di mercato ai concorrenti nell'immediato; si tratta, però, di perseguire un trade-offrischioso ma altamente remunerativo, tra la perdita di quote attuali di mercato e la conquista di altre -di gran lunga più consistenti- nell'immediato futuro. La Philips Lighting, nel 2006, annunciò la fine del prodotto che in quel momento vendeva di più, ovvero le lampadine ad incandescenza prodotte sin dal 1891, perché credette ciecamente ed opportunamente nella legge di Haitz. Sapeva che prima o poi il mercato dell'illuminazione led avrebbe devastato il settore industriale dell'illuminazione ad incandescenza; nel frattempo, si è portata avanti con il lavoro conducendo, in tutta calma e senza pressioni particolari una ristrutturazione aziendale generatrice di un brand equityconsistente, inerente il ruolo di player mondialmente riconosciuto come impegnato nello sviluppo di un modello di economia sostenibile. Ancor di più, agendo in un contesto connotato dalla solidità della posizione occupata in quel momento sul mercato, non solo è riuscita nell'intento a smantellare le vecchie supply chains, ma ha guidato anziché subito l'innovazione tecnologica, il cui inevitabile arrivo ha scorto -con anticipo rispetto a tutti gli altri- all'orizzonte.
Guidare anziché subire i processi innovativi, non solo significa sopravvivere al e sul mercato, ma vuol dire conquistare le quote di tutti quei competitors postisi passivamente dinanzi all'incedere del progresso tecnologico o appellatisi alla protezione offerta ex lege dal potere politico, cui destinano -direttamente o indirettamente- somme sottratte alla ricerca scientifica, vero ed unico volano dello sviluppo sociale.
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